domenica 24 febbraio 2008

Proposta di lettura....

Dovuta premessa: il seguente è un racconto, autobiografico ma non al 100%. Non chiedetemi se la storia è realmente accaduta: non vi risponderò. Di sicuro, c'è buona parte di me. Le mie sensazioni, il mio groviglio interiore e tutto il bagaglio finora 'raccolto' e ben stratificato. Proverò a pubblicarlo "a puntate", anche perchè non è ancora finito. Avevo pensato di farvelo leggere, magari, a cose fatte. Ma, dopo aver beneficiato di una discreta ispirazione per un paio di giorni, sono in una fase di "blocco". Staremo a vedere come procede...Buona lettura (mi auguro!).

Cielo plumbeo. E io pure. Non un minuto di sonno. Sveglio. Tutta la notte. A consumare le lenzuola, a litigare con i cuscini, a parlare da solo. A pensare a cosa, a pensare a chi. È ora di alzarsi. Finalmente. Devo, ma adesso non riesco a stare in piedi. Testa pesante, stomaco in gola, ho la nausea. Sarò incinta? Chissà. Magari partorisco un’idea. Una buona idea. Una decisione. È già ora d’uscire. Il dovere mi chiama. Dovere, dovere, sempre e solo dovere. Sta per piovere. E io pure. Che giornata. Siamo solo all’inizio. Ho pregato non arrivasse mai. E invece, ci siamo. Parti. Vai via. Mi lasci così, senza se e senza ma. Anche tu devi. Sono ancora qui i tuoi occhi, mentre me lo dici. Un filo di voce, una lacrima a segnare le gote. Lo sforzo di arrivare fino in fondo, senza scoppiare. Deglutisci, prendi fiato, volgi lo sguardo. No, proprio non ci riesci. Pugni stretti, espressione contrita, insofferente e sofferente. Al diavolo ogni spiegazione. “Stringimi ancora una volta – hai detto, mentre il tuo viso affondava nel mio petto – fingi che non t’abbia detto niente. Non sprechiamo questi ultimi momenti. Devo partire il mese prossimo, non chiedermi altro. Non posso restare. Non riuscirei a perdonarmi se lo facessi”. Ed io che dentro morivo e piuttosto avrei urlato, strepitato, preso a calci il mondo, rotto tutto, bestemmiato; ero lì a consolarti. A tenerti tra le mie braccia, ad accarezzarti, coccolarti, a raccontarti che sarebbe andato tutto bene. Ma a me chi lo racconta? Potessi almeno scoppiare in lacrime anch’io. Ma, stavolta no, non posso e non devo commuovermi. Lacrime tornate al vostro posto. Voce ritorna calda e rassicurante, abbandona il tremore. E pensare che, tra i due, la forte sei sempre stata tu. Il mio coraggio, la mia tranquillità, la lucidità nei momenti peggiori. L’unica, o tra le poche, in grado di calmarmi, di far tornare il sereno con un sorriso. Di riportare tutto alla giusta dimensione con una parola o anche solo uno sguardo. E ora sei qui, tra le mie braccia, come mai t’avevo vista prima. Piccola, indifesa, vulnerabile e innamorata. Si, proprio tu: la stessa che ci ha messo un anno a dirmi “Ti amo”, ma un minuto a smontare tutte le mie sicurezze e un attimo a farmi capitolare. Ti amo, si. Tra mille resistenze e forzature, ressi una settimana prima di lasciarmelo scappare. Tu no. Non ti saresti mai perdonata un gesto avventato, impulsivo. Un’azione che anche la testa non avesse condiviso. È sempre stato così. Io espansivo e debordante; tu sempre misurata, puntigliosa e razionale a livelli maniacali. Eppure, a vederci, non si sarebbe mai detto. Sei ancora tra le mie braccia, continui a singhiozzare, non hai ancora staccato la faccia dalla mia spalla e mi stringi forte, sempre più forte. Siamo una cosa sola. Riesco a sentire il tuo cuore, il tuo respiro, le lacrime che ti rigano il viso. “Non dire niente, non dire niente. Tienimi così e basta”: mi ripeti. E non potrei fare altrimenti. Sono senza fiato e senza forze. Disarmato e disorientato. Proprio nell’istante in cui ti sento come mai prima, so già che dovrò perderti. Lasciarti andare, rinunciare a buona parte di me. A buona parte di noi. E nei miei occhi, ancora nitida l’immagine della prima volta in cui siamo stati così. Il primo bacio, i primi momenti insieme. Eravamo in vacanza. Non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso e ogni scusa era buona per parlarti, starti vicino, sentire il tuo profumo. Tu lo sapevi. Sono sempre stato piuttosto sfacciato e ci ho messo un attimo a dirti che mi piacevi. Forse meno. Poi, quella sera di chissà quanto tempo fa, eravamo nel parcheggio di una discoteca. Gli altri erano già dentro. Non t’avessi fermata in quell’istante non me lo sarei mai perdonato. “Hai deciso di continuare ad ignorarmi per tutta la serata?”: ci sarebbero state altre mille maniere per attaccare discorso, ma ho sempre avuto poca dimestichezza con i convenevoli. E di tempo se n’era già perso abbastanza. “Ma forse è il contrario – ribattesti subito, come se t’aspettassi la mia iniziativa e sapessi già cosa avrei detto – Da oggi non sei più lo stesso e non mi rivolgi la parola”. Te n’eri accorta, nonostante ci fosse molta altra gente con noi. E, forse, ti erano mancate anche le mie attenzioni. Non potevo certo lasciarti andare. Rientrare nel locale, come se nulla fosse.

[Continua. Forse!]

5 commenti:

SerialLicker ha detto...

porca paletta, continua...
io li adoro i blog-racconti

Mirko ha detto...

T'è piaciuto sul serio? Sii sincero! :D

LaLu ha detto...

Mirko....finalmente sono riuscita a passare....beh te l' ho già detto a me piace...descrive un forte momento! un abbraccio....

SerialLicker ha detto...

sì che mi piace
scritto di getto, vero?

Mirko ha detto...

Si. E presto potrei pubblicarne un altro. Scritto ancora più di getto. Mirko